venerdì 30 ottobre 2009

Drag me to hell


Dopo tre kolossal dedicati alla saga dell'Arrampicamuri di quartiere, Drag me to hell rappresenta per il grande Sam Raimi un ritorno alle sue origini orrorifiche. E lasciatemelo dire, si tratta di un ritorno col botto. Raimi riesce nella non facile operazione di poter girare un film squisitamente horror rimanendo nel rating PG-13 impostogli dalla produzione per rendere l'opera accessibile al grande pubblico.
Al film non manca niente: una protagonista carismatica con la quale lo spettatore può riuscire ad identificarsi abbastanza facilmente, trovandosi comunque a godere malignamente ogni volta che le accade qualcosa, e una buona dose di orrore, disgusto e paura misti all' umorismo raimiano più puro.
E' singolare notare che l'orrore rappresentato nel film non è affidato come di consueto a sangue e frattaglie, ma a secrezioni corporee, liquidi e oggetti di ogni tipo, persino vermi ed insetti, che si intrufolano nella bocca della giovane protagonista portando il disgusto ad un livello nuovo ed innovativo, tanto che si potrebbe parlare quasi di fissazione orale, intendibile anche in chiave puramente simbolica: la protagonista non entra solamente in contatto con l'orrore, ma esso entra a tradimento nel suo corpo possedendola dall'interno.
La morale del film è chiara come in una favola di Esopo: il denaro rappresenta il male, e la ricerca di esso porta alla dannazione eterna. Non è un caso che Raimi identifichi il vero villain del film non con la temibile e malefica signora Ganush, ma proprio con la giovane banchiera Christine, che rifiuta una proroga ad una povera ed indifesa (anche se poi si dimostrerà l'esatto contrario) zingara soltanto per un aumento di stipendio.
Allison Lohman è ottima in ruolo che risulterebbe estenuante per qualunque attrice, rappresentato in modo genuino una giovane ragazza che lotta per la sua vita con ogni mezzo a sua disposizione. Justin Long interpreta il classico fidanzatino perfetto, e la sua espressione nella scena finale del film è veramente impagabile. Ottima anche Lorna Draver nei panni della malefica signora Ganush, la sua presenza pervade il film anche nelle scene in cui non appare. Molto notevoli anche Dileep Rao nei panni del sensitivo Ram Jas, e la candidata all'Oscar per Babel, Adriana Barraza, che interpreta la medium Shaun San Dena.
Due elementi che contribuiscono molto al film sono la fotografia e la colonna sonora. Il direttore della fotografia Peter Deming fornisce al film una tonalità virata sul giallo-rosso che predilige i colori caldi, rendendo il tutto molto atipico per un horror, quasi a rappresentare la minaccia infernale che grava su Christine. Mentre la colonna sonora, composta dallo specialista horror Christopher Young, dotata di un atmosfera molto retro, quasi da horror anni '50, crea un notevole contrasto con le immagini moderne del film, contribuendo a creare una sensazione di inquietudine crescente.
Raimi è un grande regista, e in questa opera dimostra per l'ennesima volta di essere prima di tutto un autore, riuscendo a rendere ogni film diverso dal precedente eppure riconoscibilissimo come suo. Due sequenze del film, su tutte, restano notevolmente impresse, ovvero la scena di seduta spiritica con apparizioni molto particolare, ed una sequenza ambientata in un cimitero sotto la pioggia battente.
Drag me to hell è un horror folle, spaventoso, e soprattutto terribilmente divertente, consigliato anche ai non amanti del genere.

Ricatto d'amore


E' ormai ben noto quanto la commedia romantica sia un genere sempre predisposto a portare a casa incassi cospicui, negli USA più che mai. E' però uno tipo di film ormai stantìo, che spesso (diciamo pure sempre...) sprofonda nella scontatezza. Forse è proprio questo ciò che piace allo spettattore medio: sapere cosa aspettarsi vuoldire poter scegliere un film ed essere sicuri di ciò che si andrà a vedere.
La pellicola di Anne Fletcher Ricatto d'amore, acclamata non si sa come da una larga parte del pubblico e persino dalla critica, incappa proprio negli errori e nei problemi tipici di questo tipo di film. La spietata caporedattrice Margaret (Sandra Bullock, sempre uguale a sè stessa) per evitare di essere rimpatriata nel suo nativo Canada a causa di un visto scaduto, decide di obbligare il suo assistente Andrew (il convincente Ryan Reynolds) , da lei vessato da anni (ma che è, Il Diavolo veste Prada?) a sposarla, con la minaccia del licenziamento. Come prevedibile, seguirà un viaggio in Alaska per conoscere la famiglia di Andrew, composta ovviamente da: nonnina arzilla e simpatica, padre burbero e brontolone e madre amorfa di cui non si comprende bene il ruolo. Il film procede poi verso la classica conclusione.
Leggendo varie recensioni, ci si rende conto che ciò che è stato maggiormente apprezzato della pellicola è l'alchimia tra Reynolds e la Bullock. Il problema è che questa tanto decantata alchimia e pressochè inesistente, si fatica davvero a credere che tra i due protagonisti ci sia un rapporto autentico, oltretutto l'innamoramento dei due è praticamente improvviso, e accade nel giro di pochi minuti. C'è da dire che Reynolds dimostra un notevole senso dell'umorismo e la sua simpatia riesce a risollevare i momenti mosci (tutti?) dell'opera.
Anche Sandra Bullock, abituata a questo tipo di film, riesce a cavarsela con un personaggio scritto malissimo e con spessore pari a 0.
Il ruolo della nonna di Andrew, interpretato dalla simpatica veterana Betty White, dovrebbe fungere da risorsa comica ma invece sembra quasi uscito da una parodia mal riuscita di Un amore tutto suo (film già pessimo di suo), mentre non si capisce la necessità di chiamare un premio Oscar come Mary Steenburgen per un ruolo così marginale come quello della madre di Andrew. Nei panni del padre del protagonista troviamo Craig T. Nelson, che aveva praticamente interpretato lo stesso personaggio in La neve nel cuore. Tra gli altri, spicca, più per bellezza e per frescezza che per doti recitative, Malin Akerman nei panni dell'ex-ragazza di Andrew, ovviamente una Barbie maestrina bionda che in teoria avrebbe dovuto rivaleggiare con la Bullock per il cuore del ragazzo, un conflitto che sarebbe potuto risultare interessante ma che non viene sfruttato affatto.
E' da lodare l'ambientazione scelta per il film, ovvero l'Alaska, che fornisce un minimo di originalità a questa pellicola. Per il resto, il Nulla.

giovedì 10 settembre 2009

Fa' la cosa sbagliata - The Wackness


Nel bel mezzo della assolata, e soprattutto desertica estate cinematografica italiana 2009, dobbiamo ringraziare la nostrana casa di distribuzione Fandango per aver recuperato The Wackness (tradotto infelicemente con Fa' la cosa sbagliata, titolo di Spike Lee-iana memoria), film del 2008 diretto da Jonathan Levine, e averlo dato in pasto ai pochi cinefili rimasti a casa per le vacanze. Il film è un vero e proprio gioiello di cinema indipendente, ambientato in una New York dell'anno 1994, quando Rudolph Giuliani aveva appena iniziato la sua "bonifica" dei quartieri più disagiati della Grande Mela, il panorama musicale era stato sconvolto dal suicidio di Kurt Cobain, e le Twin Towers torreggiavano ancora fra i grattacieli dello skyline. Vediamo tutto questo attraverso gli occhi di Luke Shapiro (l'espressivo Josh Peck), diciottenne annoiato, depresso e neodiplomato, "il più impopolare fra i popolari", che per raccimolare qualche soldo ed evitare lo sfratto alla sua famiglia si dedica allo spaccio di marijuana, e che vive con due genitori immaturi, perennemente in lite e sull'orlo del divorzio. Luke è in cura dal Dr. Jeffrey Squires, uno psichiatra eternamente adolescente interpretato da un Ben Kingsley finalmente in ottima forma, che invece delle parcelle preferisce il fumo come pagamento. Quando Luke deciderà di dare una svolta alla sua vita, sarà proprio il Dr. Squires a decidere di aiutarlo a maturare. Il Dr. Squires è una figura malinconica, un uomo che vive la sua vita sospesa tra il rimpianto della sua giovinezza e la delusione del suo presente, nonchè il fallimento di tutti i suoi rapporti sociali e, soprattutto, familiari. The Wackness è soprattutto un film di crescita, di maturazione, non solo mentale ma anche fisica e sessuale. Sarà infatti Stephanie, figliastra del Dr. Squires e compagna di scuola di Luke, ad iniziare il ragazzo al sesso e soprattutto, al vero amore. Un amore non ricambiato, ma che contribuirà alla maturazione di Luke. Che nel finale salverà definitavamente il Dr. Squires da una vita vuota vissuta egoisticamente.
Il cast del film è veramente ottimo, soprattutto l'alchimia fra Peck e Kingsley è autentica e si sente particolarmente, è infatti sull'incontro-scontro fra i due protagonisti che si fonda il film. Kingsley torna finalmente ai suoi altissimi livelli, a cui ci aveva disabituato grazie a film come L'ultima legione, donandoci una performance frizzante e lunatica, ma al contempo riflessiva e triste. Il giovanissimo Josh Peck regge perfettamente il confronto, riuscendo ad elaborare un personaggio credibile, in cui chiunque riuscirebbe ad identificarsi e a condividerne i turbamenti, diventando uno dei punti di forza maggiori del film. Il triangolo è completato dalla convincente Olivia Thirlby, già vista in Juno, che interpreta una specie di Lolita intelligente ma molto immatura, capace di passare da un letto all'altro con molta nonchalance senza preoccuparsi troppo di ferire i sentimenti altrui, la cui storia con Luke diviene un semplice passatempo estivo. Se da Famke Janssen ci si poteva aspettare di più, la performance di Mary-Kate Olsen non è così tremenda come si temeva, anzi.
Dal punto di vista tecnico il film non è da meno: la regia/sceneggiatura del giovane e quasi esordiente Levine è molto pregevole e fuori dal comune, dato che il film non manca di moltissimi momenti notevolmente profondi e malinconici ma risulta comunque ironico, spensierato ed, a tratti, esilarante. Inoltre è da lodare il lavoro del direttore della fotografia Petra Korner, al suo primo lavoro importante. Il suo apporto contribuisce notevolmente a rendere l'atmosfera estiva, opprimente e "umida" che grava sui protagonisti, quasi come un patina che ricopre e avvolge la scena. Nello specifico, una scena "particolare" che coinvolge una doccia sulla spiaggia e un cervo mostra perfettamente la coordinazione fra regia, montaggio e fotografia. Fa' da sfondo a tutto una piacevole colonna sonora hip-hop d'epoca.
In sostanza, The Wackness è uno splendido esempio di cinema giovanilistico, una bella metafora di crescita, e soprattutto un tipo di film che ci piacerebbe vedere più spesso. E' per Kingsley dovrebbe essere obbligatoria una candidatura come non protagonsta ai prossimi Oscar.