mercoledì 24 novembre 2010

Happiness


Happiness è un film americano del 1998, opera seconda del pluripremiato regista dalla formazione indipendente Todd Solondz.
La pellicola dipinge con grottesca lucidità e ironia nera un ritratto impietoso delle manie e nevrosi che si celano dietro un'apparentemente perfetta famigliola americana di ceto medio.
Joy, una trentenne musicista a tempo perso, rompe con il fidanzato Andy, spingendolo al suicidio. La sorella di Joy, Helen, è una scrittrice di successo che ha perso l'ispirazione e sogna di essere violentata. Inizierà una relazione telefonica con Allen, vicino di casa sessuomane che le fa continuamente chiamate oscene. La terza sorella, Trish, è una casalinga perfetta e orgogliosa, convinta di avere una famigliola modello. In realtà, suo marito Bill è un pedofilo che tenta di resistere ai suoi impulsi masturbandosi su riviste per adolescenti, fin quando, ormai incapace di sfuggire alla sua natura, arriverà a violentare gli amici del figlio dodicenne.
Dopo il bellissimo Welcome to the dollhouse, Solondz torna a raccontare gli incubi dell'America provinciale e le colpe che si celano come polvere sotto i tappeti dell'apparente benessere in cui i personaggi vivono e crescono. Quella portata in scena è un'umanità ipocrita e intrinsecamente detestabile, eppure è impossibile non simpatizzare con queste persone, e addirittura si arriva ad un processo di identificazione con questi esseri, benchè nessuno di essi provi alcuna spinta verso un cambiamento positivo. Tema portante è anche il sesso che viene vissuto in maniera deviata: dagli esempi più individuabili (il pedofilo, il sessuomane); a Helen che stufa di essere idolatrata vorrebbe essere violentata in modo da sentirsi descrivere per ciò che è, una merda; fino a Billy Jr., figlioletto di Trish e Bill che per tutto il film tenterà di venire, unico fra i suoi amici a non esserci ancora riuscito. In questo senso, l'unica sottotrama a non essere perfettamente integrata e coerente all'interno dell'anatomia del film è quella con i genitori delle sorelle, ma è ottimamente interpretata dai veterani Ben Gazzara e Louise Lasser e dunque non si fa pesare.
Il cast non è dei più noti, o meglio non lo era ancora quando il film uscì, e questo è indubbiamente positivo, permette allo spettatore di proiettare sui volti degli attori le proprie angoscie e insicurezze.
Jane Adams è ottima nel dare personalità al personaggio di Joy, con i suoi occhi perennemente sgranati e increduli dinnanzi a qualunque cosa le accada, un personaggio completamente fuori dal mondo; la Helen di Lara Flynn Boyle è fredda e apparentemente priva di sentimenti ma nasconde una grande fragilità interiore.
Discorso a parte meritano i due fuoriclasse del film, ovvero Dylan Baker e Phillip Seymour Hoffman, entrambi straordinari ancora prima di aver sfondato. In modi diversi riescono a rendere disgustosi i loro personaggi ma al contempo rendono impossibile una non identificazione.
In questo senso, Solondz è l'unico autore capace di far identificare il pubblico con un pedofilo (!) senza giustificarlo, come è giusto che sia, e allo stesso tempo farlo sentire disgustatio dalle azioni che il personaggio compie. E' proprio per questo che certe scene sono un pugno nello stomaco: si è arrivati a un processo tale di identificazione con il personaggio che vederlo fare certe cose fa doppiamente male.
Sia il personaggio di Bill che quello di Allen hanno un solo singolo rapporto in cui riescono ad essere sè stessi in maniera sana: il primo pur essendo pedofilo è un padre modello che non toccherebbe mai suo figlio, il secondo vive una sorta di amore platonico con una vicina di casa ugualmente ferita della vita e disturbata, interpretata da Camryn Manheim. Non è un caso che le sole scene in cui si percepisca un minimo di speranza siano la confessione di Bill a suo figlio, una scena straziante come poche; e l'appuntamento tra Allen e la vicina sulle note di I'm all out of love.
Happiness è, senza se e senza ma, uno dei capolavori dell'ultimo ventennio. E' un film eccessivo che si prende dei rischi enormi lungo tutta la sua durata e non ha paura di osare o di risparmiarsi niente, eppure non c'è un momento che sembri fuori posto o non necessario ai fini del racconto. Grazie ad una regia in forma smagliante dramma, satira sociale e lucido humour nero si compenetrano a vicenda e si fondono fra loro, spaesando lo spettatore e impedendogli di formulare un giudizio sulla moralità dei personaggi.
Se nell'industria cinematografica ci fosse un pò di giustizia in più, Solondz sarebbe considerato uno degli autori più rappresentativi degli ultimi anni insieme ai vari Tarantino, Lee e Coen.
Molto bella la canzone finale, interpretata dal leader dei REM Michael Stipe e da Rain Phoenix.

martedì 28 settembre 2010

Inception


Sembra sempre di assistere alla solita storia, che si ripete a intervalli irregolari di tempo. Ovvero: viene annunciato un film, che, per un motivo o per un altro, che siano i nomi degli attori e dei cineasti coinvolti, o una storia che sembra sulla carta molto accattivante, riesce a destare interesse. Appena comincia a trapelare uno straccio di trama più dettagliata, le speculazioni e le ipotesi cominciano a fioccare, i pochi che riescono ad entrare in possesso di una sceneggiatura la definiscono geniale, qualcosa che non si è mai visto prima, "it'll blow your fuckin' mind". A film completato, dopo i primi test screening, le reazioni dei pochi fortunati presenti alla proiezione definiscono il film "qualcosa di sconvolgente, che cambierà tutto per sempre". Escono le prime immagini e l'opinione si divide, l'hype cresce a dismisura e l'attesa sembra divenire eterna. Nell'era di internet, un film inizia a raccogliere fans ancor prima di uscire, ormai il successo dipende solo dal marketing. Nell'ultimo anno e mezzo abbiamo assistito a due fenomeni di questo tipo: il fenomeno Avatar e il fenomeno Inception. Il primo non è riuscito, almeno secondo il sottoscritto, a raggiungere le aspettative a causa di una sceneggiatura inesistente, mentre Inception ha superato le mie più rosee previsioni.
Il film di Christopher Nolan è strutturato come un classico heist movie: c'è la preparazione del colpo, in cui viene progettato un piano e vengono messi insieme i componenti della banda; il colpo vero e proprio, in cui sicuramente qualcosa non andrà come previsto; e infine le conseguenze del colpo, che sia andato a buon fine o no.
Su questa struttura apparentemente semplice il quarantenne regista inglese sviluppa un film neuro-fantascientifico governato da precise regole, dove ogni sogno è costruito come una matrioska, arrivando addirittura ad una struttura tripartitica di sogno-dentro-sogno-dentro- sogno. Nolan non ricerca la visionarietà o il surrealismo di un Gilliam o di un Lynch, i sogni dei suoi protagonisti partono dai ricordi, dunque non aspettatevi di vedere cavalli danzanti o passeggiate fra le nuvole, perchè "ogni sogno sembra reale quando ci sei dentro, è solo quando ti svegli che ti rendi conto che c'era qualcosa di strano", c'è un pò la stessa differenza riscontrabile tra un Escher (la scala progettata da Arthur in Inception è un chiaro rimando a questo artista) e un Dalì. Nolan ha progettato il suo mondo onirico personale, che sta a tutta una serie di regole e ingegnose trovate da lui elaborate, in cui le architetture si accartocciano e si ripiegano su sè stesse, i muri esplodono in vortici pirotecnici, le pareti di roccia crollano come castelli di sabbia e la gravità può svanire all'improvviso.
La struttura di fantathriller a incastri funge da presupposto per narrare le ossessioni e i rimpianti di Dom Cobb - un intenso Leonardo Di Caprio, che dimostra ancora una volta la sua straordinaria maturità interpretativa -, i cui sogni sono infestati dalle memorie della moglie morta, (un'ottima Marion Cotillard) spinto dall'unico desiderio di rivedere i suoi piccoli figli. Cobb è il solo centro della vicenda, un uomo che, come Bruce Wayne, Alfred Borden e Leonard Shelby, è da solo a lottare contro i suoi demoni interiori. La centralità di Cobb/Di Caprio potrebbe far pensare che i personaggi secondari siano solo abbozzati, mentre invece non è così, visto che Nolan riesce a descriverli in poche pennellate. Tra gli altri abbiamo la giovane Ariadne (la mitica Ellen Page), incredula di fronte al mondo onirico che le si spiega davanti, l'ingessato e preciso Arthur (Gordon-Levitt, che sta finalmente emergendo), braccio destro di Cobb e anima dell'operazione, Eames (Tom Hardy, che sarebbe infinitamente meglio di Craig come James Bond), che con il suo humour inglese distende l'atmosfera, e, quello che ho apprezzato di più, Cillian Murphy nei panni di Fischer, l'obiettivo dell'inception. Quest'ultimo è il giovane figlio di un industriale morente, che ha un rapporto molto complicato con il padre, e sarà inoltre protagonista di una delle scene migliori del film, un riuscito omaggio a Citizen Kane.
Abbiamo già detto delle qualità di Nolan come sceneggiatore, ma anche la regia è ad altissimi livelli, forse una delle sue migliori. Alcune scene rimarranno impresse negli anni a venire, su tutte la sequenza del sogno a tre livelli e dell'hotel a gravità zero, dove il montaggio è davvero in stato di grazia, e lo straordinario finale che vi rimarrà in testa per molto tempo. Le sequenze d'azione sono incalzanti e mai confuse, molto bondiane nell'insieme, soprattutto quella sulla montagna innevata. La regia mostra quindi un'enorme controllo nel coordinare tutti gli elementi scenografici e tecnici.
Se proprio bisogna trovare un difetto, gli eccessivi spiegoni che i personaggi intraprendono, precisando dettagli importanti per lo spettatore ma del tutto superflui per i personaggi, d'altronde però si doveva pur trovare un modo. Sarebbe da citare anche la colonna sonora di Hans Zimmer, che , pur essendo molto atmosferica ed emozionale, ripete all'infinito le solite soluzioni usate da questo compositore.
In conclusione, Inception è un film che sicuramente dividerà i pareri, ma che farà parlare di sè per molti anni a venire.