domenica 16 settembre 2012

Ribelle - The Brave



Non c'è che dire, in questi ultimi anni la Pixar ci ha abituati veramente bene, forse anche troppo. La casa di produzione di Emeryville si è dimostrata l'unica (almeno fra quelle statunitensi, altrimenti si rischia di fare un torto alla Aardman o allo Studio Ghibli) capace di confezionare film d'animazione maturi, appettibili sia per il pubblico adulto che per quello dei più piccoli, riuscendo sempre a regalare scenari visionari e personaggi indimenticabili, mostrando un coraggio invidiabile nelle scelte produttive. In un'epoca in cui nei film animati troviamo citazionismo a iosa e battute autoreferenziali, chi si aspetterebbe di vederne uno con protagonista un anziano borbottone che deve superare il lutto per la scomparsa di sua moglie? O un film di fantascienza la cui prima parte è totalmente priva di dialoghi, nonchè ambientata su una Terra ridotta a una gigantesca discarica? La Pixar l'ha fatto, riuscendo a realizzare capolavori perfettamente bilanciati fra intrattenimento e autorialità, cosa che altri colossi rivali come la DreamWorks o la Blue Sky possono solo sognarsi.
Non c'è da stupirsi quindi se Brave venga considerato una delusione, se accostato a capolavori quali Up, Wall-E o il più recente Toy Story 3. Dopo lo sperimentalismo dei lavori passati, il nuovo film di casa Pixar prende uno degli intrecci tipici dei classici Disney del passato: una principessa ribelle che cerca di trovare il suo posto nel mondo ostacolata da un genitore, che compiendo una serie di scelte sbagliate per poi riuscire a sistemare le cose con le sue sole forze, imparerà una preziosa lezione di vita. Ma anche in questo intreccio semplice, il team della Pixar (difficile parlare di singole scelte registiche) riesce ad inserire dei twist che riescono a rendere il tutto meno già visto: innanzitutto, la scelta di ambientare il tutto nelle Highlands scozzesi conferisce una qualità epica e mistica molto apprezzabile, soprattutto grazie all'evocativa e bellissima colonna sonora del sempre ottimo Patrick Doyle, in cui abbondano cornamuse, arpe e bodhràn. Secondo poi, la scelta di focalizzare la storia sul rapporto fra la principessa Merida e sua madre, invece di basarsi sul solito contrasto già visto fra figlia e padre: al contrario, in Brave la protagonista ha un ottimo rapporto con la figura paterna, caratterizzata dal suo stesso gusto per l'avventura e difficoltà a seguire le regole. Merida ha paura di vivere conformata alla regole come sua madre sembra essere, sempre attenta al giudizio degli altri o al rispetto delle norme sociali: non ha alcuna intenzione di essere domata, come testimoniano i suoi incontrollabili capelli di fuoco. E' una principessa che ha già scoperto la sua identità, che non ha bisogno di un principe per riuscire a realizzarsi. Un personaggio davvero interessante e ben caratterizzato: combattiva, spensierata e spesso avventata, Merida conquista da subito le simpatie del pubblico.
Sono dunque questi sopraelencati i principali pregi di Brave, insieme al solito lavoro di fino svolto nell'animazione che riesce a rendere emozionanti le splendide ambientazioni del film e a caratterizzare i personaggi in maniera ottimale: oltre alla già citata Merida, davvero gradevole il personaggio del roboante ed esilarante re Fergus, e ben resa anche la regina Elinore soprattutto nei suoi contrasti con Merida (anche se più nella sua forma "trasformazione" che in forma umana), mentre i personaggi secondari avrebbero meritato più attenzione. 
In generale, nonostante tutto sia di alto livello, il film non si sofferma abbastanza su diversi elementi e si percepisce quasi una sorta di fretta nel portare a termine le vicende: un minutaggio più esteso, soprattutto nella parte centrale, avrebbe sicuramente giovato, facendo avvertire un maggiore scavo nella psicologia dei personaggi e nelle loro motivazioni.  Considerando il livello di perfezione assurto da molti dei lavori precedenti, definire Brave un Pixar minore è sicuramente un giudizio azzeccato, ma state pur certi che non si tratta affatto di un insulto.

giovedì 13 settembre 2012

This is England



E' il 1983, e in un piccolo sobborgo inglese il dodicenne Shaun, che ha da poco perso il padre nella Guerra delle Falklands, passa le sue giornate in solitaria, trovando un momentaneo sollievo dalle prese in giro dei coetanei in passeggiate in riva al mare e giri in bicicletta. L'ultimo giorno di scuola, tornando a casa dopo l'ennesima rissa con un compagno, Shaun si imbatte in un gruppo di giovani skinhead, guidati dal simpatico fanfarone Woody: i ragazzi lo accolgono presto nella banda, e Shaun sembra aver finalmente trovato il suo posto in un mondo fatto di musica ska ad alto volume, tuffi in piscina, Doc Martens ai piedi e camicie a scacchi coloratissime. Inizia addirittura una buffa relazione con l'eccentrica new romantic Smell, molto più grande di lui ma affascinata dai suoi modi gentili e dalla sua intraprendenza. Proprio quando tutto inizia ad andare per il meglio, Combo, ex leader del gruppo appena uscito di galera, si ripresenta portando con sè l'ideologia nazionalista imparata durante gli anni di carcere. Si crea così una scissione fra Woody e Combo: Shaun, sul quale le idee di quest'ultimo fanno subito presa anche a causa della recente scomparsa del padre, diventa il prediletto di Combo, e il cammino di odio e prevaricazione da lui intrapreso gli cambierà la vita.


This is England è prima di tutto un film autobiografico per Shane Meadows, che in gioventù si trovò a vivere esperienze simili a quelle affrontate da Shaun. Ma è anche un'accurata descrizione del Regno Unito sotto il governo di Margaret Thatcher, e un ritratto dettagliato della situazione dei giovani in quegli anni. In particolare, viene descritto un momento di svolta per la cultura skinhead, ossia la divisione fra i membri pacifici amanti della musica ska e reggae, e quelli nazionalisti e razzisti, che ne adottarono l'immagine modificandone radicalmente l'ideologia.


Ma soprattutto, attraverso il personaggio di Combo, interpretato magistralmente da un monumentale Stephen Graham, Meadows porta in scena un Inghilterra spezzata, uscita da poco dal conflitto delle Isole Falkland, un paese senza direzione, in cui il razzismo e l'odio nascono dal di dentro e si mostrano come elemento distruttivo: "This is England!" afferma fieramente Combo, e l'unico modo per gridare la sua identità di inglese puro al cielo è quello di negare una possibile identificazione e integrazione agli estranei/stranieri, vomitando veleno e violenza su di loro solo per poter rimarcare la sua appartenenza a qualcosa, perchè senza di essa non si sentirebbe parte di nulla. Il messaggio di odio che ripete ad oltranza sembra una filastrocca imparata da un bambino, nemmeno per un attimo si legge un briciolo di convinzione nelle sue parole. Sarebbe stato troppo semplice mostrare una ridicola macchietta detestabile, si è preferito invece portare in scena un personaggio stratificato, di cui osserviamo con orrore le azioni compatendolo e comprendendolo allo stesso tempo, ma senza per questo essere portati a giustificarlo. Il personaggio funziona benissimo in relazione a quello di Shaun, ben interpretato dall'esordiente Thomas Turgoose: da brividi uno dei momenti della pellicola, in cui mentre Combo minaccia con un coltello un ragazzo pakistano colpevole soltanto di giocare nella "zona sbagliata", la macchina da presa inquadra per pochi secondi il volto estasiato di Shaun, talmente plagiato dai discorsi di Combo da essere entrato totalmente nel suo modo di vedere le cose. Si mostra come le ideologie estremiste abbiano facile presa sulle menti più deboli e influenzabili, e diventino per loro un meccanismo di difesa più che una dottrina in cui credere fermamente.


Meadows, coadiuvato dal cosceneggiatore Paddy Considine, riesce a creare un gruppo di personaggi unico: da Woody, quasi incapace di provare sentimenti negativi, alla sua ragazza Lol, una figura materna che fa da collante per il gruppo, per arrivare al silenzioso e pacato Milky, unico membro di colore del gruppo e personaggio fondamentale per delineare le anomalie presenti in Combo, all'esilarante Smell, interesse amoroso di Shaun: i loro imbarazzanti attimi "romantici" sono alcuni dei momenti più divertenti e sinceri di tutto il film. La regia si concentra sui volti degli interpreti con primi piani strettissimi, che evidenziano ogni piccola espressione, facendo ricorso a ralenti scorsesiani in cui i movimenti dei personaggi avvengono al ritmo di pezzi ska, punk e reggae dell'epoca. Il tutto, con uno stile di ripresa realistico che rimanda al cinema di Ken Loach e Alan Clarke, potenziato dagli accenti espressivi con cui gli attori si esprimono. E quando il volume dei dialoghi viene abbassato e si lasciano parlare le splendide melodie al pianoforte di Ludovico Einaudi, si raggiungono vette emozionali di altissimo livello.


This is England è un film delicato nonostante il tema complesso, che trova la forza proprio nel suo intreccio semplice e nell'affetto sentito nei confronti dei personaggi, diretto da una delle voci più sincere del cinema britannico moderno.

lunedì 10 settembre 2012

Dogville



Lars Von Trier è sempre stato un autore controverso, un provocatore nato, spesso definito misogino, egocentrico ed arrogante dai più, ma altrettanto amato da gran parte della critica per la ricchezza sia tematica che estetica delle sue opere. In un film come Dogville sono contenute tutte le definizioni che negli anni sono state attribuite al cinema di questo regista. L'incontro fra Grace, in fuga da un gruppo di gangster, e gli abitanti del villagio di Dogville, che le offrono riparo in cambio di lavoro, è ambientata in uno scarno teatro di posa privo di scenografie, con righe bianche e scritte tracciate in terra a delimitare le strade e le abitazioni della piccola cittadina americana in cui si dipana la storia: l'attenzione degli spettatori è in questo modo libera di concentrarsi solo ed esclusivamente sugli interpreti, e sui significati tematici del film. L'atmosfera pacifica in cui il paesino è immerso nelle prime settimane diviene sempre più opprimente: gli abitanti comprendono il potere che hanno su Grace, e iniziano a sfruttarla in maniera sempre più estrema. L'arrivo dello straniero rivela la vera natura di queste persone, e il piccolo paesino diventa uno specchio per raccontarci il modo in cui Von Trier vede l'umanità: c'è una malignità recondita in ognuno, ed essa aspetta solo un'occasione per emergere. Persino il personaggio del giovane Tom, apparentemente il più comprensivo, non fa altro che sfruttare gli accadimenti per scrivere un romanzo, si dichiara innamorato di Grace ma in realtà vuole solo "possederla". E la stessa Grace, innocente e disposta al perdono, nel devastante finale viene corrotta dalla crudeltà che le è stata inferta, tramutandosi da agnello sacrificale ad angelo vendicatore. Le riprese furono distruttive per gli attori, costretti da Von Trier a rimanere nei personaggi per ore: questa devastazione psicologica ha in tutto e per tutto giovato al film. La Kidman fornisce una delle sue migliori prove nei panni di Grace, così come Paul Bettany come Tom e tutti i caratteristi, da un immenso Stellan Skarsgard a un'intensa e nervosa Patrica Clarkson, per arrivare a Ben Gazzara nei panni di un'anziano non vedente che tenta di nascondere la sua condizione, uno dei personaggi più enigmatici dell'opera. C'è posto anche per una leggenda come Lauren Bacall, che quando compare domina la scena. La macchina da presa a spalla di Von Trier insegue gli interpreti con movimenti rapidi e nervosi, che rendono l'atmosfera opprimente e ammantano il tutto di una crescente tensione. Gli osservatori più superficiali si sono limitati a vedere Dogville come un film antiamericano, cadendo nell'inganno dell'autore, che ha fatto di tutto per farlo apparire tale: Dogville però non rappresenta l'America, ma il mondo intero visto da Von Trier. E, considerando l'immenso potere di cui Grace viene investita negli ultimi minuti, definire misogino il cinema di questo regista è una banalizzazione enorme.